“MF Investire sul Pianeta”: l’intervista all’AD Claudio Descalzi

24 Marzo 2023

Intervistato per “MF Investire sul Pianeta”, l’AD di Eni Claudio Descalzi ha parlato dell’attuale crisi energetica e delle soluzioni per riuscire a superarla e trovare “strade nuove in un contesto così agitato, movimentato che qualche volta non fa ben capire dove bisogna andare”. Per l’AD oggi più che mai è fondamentale “tenere la barra dritta basandosi sulle nostre tecnologie, sul nostro valore, sull’efficienza del bilancio quindi con un debito molto basso: bisogna essere molto leggeri per riuscire a navigare in mari così agitati, pur avendo un transatlantico da portare. Queste sono le cose su cui voglio concentrarmi”.

La sfida d’altronde è particolarmente impegnativa: garantire la sicurezza energetica senza arretrare negli obiettivi di sostenibilità ambientale. “Abbiamo iniziato a lavorare sulla transizione energetica circa dieci anni fa, quindi il processo è estremamente maturo. Abbiamo investito più di 7 miliardi di euro su ricerca, tecnologia e implementazione. Non si lavora infatti solo sulla ricerca; gli strumenti diventano tali solo se sono applicabili, se vengono cioè applicati industrialmente e danno dei risultati”, spiega Claudio Descalzi soffermandosi in particolare sui piani di decarbonizzazione.

Eni ha iniziato a lavorare sette-otto anni fa sulle scope 1 e 2, ovvero sulla produzione di CO2 generata dalle attività e dall’energia elettrica utilizzata per svolgere tali attività. Successivamente le attività sono state estese anche alle scope 3: “Quindi gli obiettivi attuali, ultimamente presentati al mercato, si pongono di ridurre del 35% le nostre emissioni al 2030, del 55% al 2035 e dell’80% al 2040, fino ad arrivare a un net zero al 2050”.

Per quanto riguarda le rinnovabili invece “abbiamo implementato un piano di crescita importante per cui chiuderemo l’anno a più di 2 giga che diventeranno 6 giga al 2025, e che nel lungo termine arriveranno a 60 gigawatt di energie rinnovabili d’origine eolica e solare”. È in quest’ottica, come ricorda l’AD, che Eni ha trasformato “due raffinerie tradizionali in bioraffinerie, alimentate in parte da materiale di scarto (waste material): dal grasso animale alle biomasse provenienti anche da agricoltura marginale”.

Le ricadute positive per il territorio sono molteplici, a partire dall’occupazione: “Abbiamo infatti chiuso accordi con agricoltori di sette Paesi africani, per cui verranno coltivati prodotti oleosi (olio di ricino, cardi) tipici di certe zone desertiche, comunque non adatte all’agricoltura per la produzione alimentare. Il piano consiste nel ritrasformare le raffinerie così da non dover utilizzare più prodotti quali idrocarburi, che non abbiamo e che dobbiamo importare, a favore di un sistema agricolo alternativo. Così, i giacimenti futuri saranno in superficie e non più fino a 4 mila metri sottoterra”.

In questo modo, aggiunge Claudio Descalzi, ci sarà un grande impatto anche sull’occupazione in Africa: “Per ogni Paese coinvolto, stiamo lavorando su circa 200 mila ettari di terreno dai quali ricaviamo circa 170 mila tonnellate di olio vegetale all’anno. Per ognuno di questi appezzamenti, il numero dei lavoratori locali coinvolti varia dalle 90 mila a 110 mila persone”.

L’AD sottolinea i traguardi raggiunti sul fronte della sicurezza energetica: “La nostra diversificazione geografica in Paesi come quelli africani, mediorientali e nel Far East ci ha consentito di trovare velocemente fonti alternative. Ma il processo richiede tempo per essere realizzato, perché per quanto riguarda Eni, per esempio, si tratta di rimpiazzare circa 21 miliardi di metri cubi di gas all’anno, e per quanto riguarda l’Italia circa 29 miliardi di metri cubi. L’impegno si è rivolto verso Paesi connessi con l’Italia attraverso pipeline (Algeria, Libia) e verso Paesi più vicini come l’Egitto, però non connesso con pipeline (abbiamo dei liquefattori; quindi, possiamo trasportare il gas su navi)”.

Per Claudio Descalzi saranno quindi decisivi i prossimi passi: “Avremo bisogno di rigassificatori. Il prossimo anno porteremo in Italia 7 miliardi di metri cubi di gas liquefatto. Quella dei rigassificatori è una tecnologia consolidata in tutte le parti del mondo. È un elemento essenziale perché sostituisce il gas da pipeline. La sicurezza energetica, se vogliamo definirla attraverso dei punti, è fatta da più gas ma anche da infrastrutture. Anche la rete deve essere adeguata, soprattutto se consideriamo un flusso da sud a nord. L’Italia è molto ben messa, perché è connessa all’Africa attraverso pipeline”.