16 Aprile 2017
Sul tema dell’energia in Europa c’è ancora poca consapevolezza: siamo un continente importante, che però ha il serbatoio quasi vuoto. Importiamo il 50% della benzina e del diesel e il 70% del gas, percentuale che andrà a salire velocemente, e, allo stesso tempo, non stiamo mettendo in comunicazione l’energia che già avremmo a disposizione. Ho avuto occasione di confrontarmi su questo tema un paio di settimane fa a Vicenza al Festival Città Impresa, in un incontro sugli attuali equilibri geopolitici mondiali, in relazione al settore in cui opera Eni.
Si parla tanto dell’ipotesi di dazi degli Usa verso le merci europee e sanzioni alla Russia, due Paesi che dispongono delle risorse necessarie per potersi chiudere nell’autosufficienza commerciale e industriale; ma la vera domanda dovrebbe essere: noi europei come ci stiamo muovendo sul fronte energetico? Esportiamo qualità e tecnologia, è vero, ma se guardiamo ai costi spendiamo sempre di più per approvvigionarci. L’impressione è che si sia diffusa un’idea sbagliata: che l’energia possa generarsi da sola. La realtà, invece, è che, non producendone internamente, ci viene a costare molto, perché dobbiamo importarla.
Nessun Paese europeo è autosufficiente da questo punto di vista. L’Unione Europea dovrebbe avviare una sua politica comune energetica e lavorare per creare una sorta di ponte verso l’est del Mediterraneo. Egitto, Israele e Cipro, e più in generale il continente africano: area in cui si sta creando un grande hub energetico che ha come target proprio il nostro continente. Sono già stati trovati 3.500 miliardi di metri cubi di gas, ma si può facilmente pensare di passare a quasi 9 mila miliardi di metri cubi. Obiettivo condiviso deve essere evitare di ripetere gli errori del passato, in primis quello di dipendere da un fornitore unico. Ci sono diverse alternative energetiche che chiedono solo di essere sviluppate e nuovi equilibri da sostenere. Scenario in cui l’Italia potrebbe giocare un ruolo da protagonista.