27 Luglio 2017
Siamo in Africa dal 1954. È un continente che fornisce al nostro Gruppo oltre la metà del greggio e del gas naturale prodotto oggi. Ne conosciamo le potenzialità, ma anche le problematiche: da lì siamo partiti per costruire e regolare le nostre attività nei sedici Paesi in cui operiamo. Con la consapevolezza che, se aiuti il tuo interlocutore a diventare più forte, sei più forte anche tu. Su questo si fonda la strategia che abbiamo adottato in quei territori, capace di integrare in modo efficace il business Oil & Gas con l’avvio di progetti di sostenibilità ambientale e sociale mirati a incentivarne il progresso.
Per anni l’Africa ha visto sfruttare i propri campi petroliferi ed esportare le materie prime: è rimasta senza energia, quasi priva del potenziale di crescita e diversificazione industriale. Il modello prevalente di sviluppo postcoloniale ha mostrato tutti i suoi limiti, provocando ulteriore povertà e spingendo la gente a emigrare. Sono convinto che gli africani non lascerebbero la propria terra se le condizioni di vita precarie non li costringessero a farlo: è un popolo particolarmente attaccato a luoghi e tradizioni. Investire in Africa, come fa Eni che impiega oltre 8 miliardi, significa promuovere una visione a lungo termine, orientata non solo al profitto immediato ma alla sostenibilità del business. Scegliere di estrarre solo una parte di greggio, lasciando il resto nel Paese come investimento per la stabilità, è una delle nostre soluzioni: in Libia ad esempio abbiamo acquisito maggior credibilità cominciando a distribuire gas (in quantità pari al 60% di quello estratto) senza obblighi contrattuali che ce lo imponessero.
Questo è quello che possiamo fare noi nel nostro ambito, ma come in ogni partita anche in questa la vittoria arriverà solo se ogni giocatore si impegnerà al massimo nel proprio ruolo ragionando in un’ottica di insieme. Bisogna infatti mettere da parte individualismi e lungaggini burocratiche e cominciare a pensare in termini di obiettivi, non solo di mezzi. Le centinaia di miliardi di euro messi a disposizione dall’Europa negli ultimi cinquant’anni si sono concretizzate soprattutto in iniziative umanitarie, ma non in contributi mirati a sviluppare accesso all’energia e istruzione, fondamentali per dare impulso alla crescita.
Per far sì che la gente rimanga nel proprio Paese, occorre costruire le condizioni perché vi si possa affermare una cultura industriale e dello sviluppo: una delle strade è puntare sui giovani, destinare un 20% dei fondi a loro e creare occupazione preparandoli nel frattempo ai mestieri che saranno chiamati a svolgere. Una volta risolte queste criticità, sarà inoltre più facile favorire uno sviluppo delle rinnovabili: in ambito petrolifero abbiamo già chiuso accordi con Algeria, Ghana, Egitto e Tunisia e siamo in trattativa con altri 4 o 5 Paesi. Il futuro dell’Africa passa anche da qui.