30 Settembre 2021
L’Europa deve dotarsi di un piano di sicurezza energetica strutturato e a lungo termine. È il monito lanciato dall’AD di Eni Claudio Descalzi lo scorso 24 settembre all’Italian Tech Week, in programma a Torino. Nel corso del suo intervento ha parlato delle criticità per l’approvvigionamento di energia in Europa, soprattutto in vista dell’inverno: “Non penso che ci saranno problemi nel reperire il gas, ma ci costerà più caro, anche perché le scelte che sono state fatte in passato hanno pesato molto sull’offerta”. Basti pensare che l’Italia importa il 92% della sua energia mentre “l’Ue praticamente tutto il gas che consuma e buona parte del petrolio”. Dunque è strutturalmente dipendente da fonti estere: per questo secondo l’AD urge l’implementazione di un piano di sicurezza energetica a livello europeo, strutturato e a lungo termine.
“Ma oggi, di fronte a forniture che arrivano prevalentemente da Est, ossia dalla Russia, o da Nord, cioè dalla Norvegia, la grande opportunità è quella di rivolgersi verso Sud, all’Africa”: per l’AD Claudio Descalzi significa “guardare anche al futuro”. Non è solo politica energetica “ma politica, anzi geopolitica in senso più ampio, perché bisogna prima di tutto dotare l’Africa di infrastrutture per produrre energia, darla in primo luogo alle popolazioni locali e poi esportare quella che non viene utilizzata là”.
Eni lo sta facendo in Nigeria, Congo, Ghana ed Egitto portando gas al sistema locale: “In Africa ci sono 650 milioni di persone che non hanno accesso all’elettricità. Portarla a loro significa una grande opportunità di sviluppo e benessere e la creazione di legami che aiutano anche noi europei. Ma, lo ripeto, è un progetto che deve avere come minimo una dimensione nazionale o meglio ancora sovrannazionale; una società come la nostra da sola non basta”. L’AD Claudio Descalzi si è espresso anche sulle politiche di decarbonizzazione e sul loro impatto socio-economico, a partire dalla tassa sulle emissioni che pesa sulle bollette energetiche: “Sono regole giuste. Ma bisogna fare in modo che vengano applicate anche dagli altri grandi produttori di Co2. Non parlo dei Paesi in via di sviluppo, ma di quelli dell’Ocse che sono economie avanzate come la nostra. Se gli europei sono gli unici a pagare una tassa di 50 o 60 dollari per tonnellata di Co2 emesso si va a creare un campo di gioco non eguale per tante industrie che competono su scala globale, dalla chimica alla siderurgia. Serve che proprio l’Europa spinga perché chi ha adottato gli impegni previsti da Cop21 o dal Cop26 si comporti di conseguenza”.
E sulla transizione energetica: “Non c’è un solo modo, ma un’intera gamma di modalità, una sorta di mosaico che va composto e probabilmente adattato di continuo. Quel che è sicuro è che non c’è una sola tecnologia – ad esempio quella delle rinnovabili – che basterà in futuro per soddisfare tutta la domanda. Per questo bisogna avere un approccio senza pregiudizi ideologici che prenda in considerazione tutto quello che si può usare, dall’idrogeno, alle bioraffinerie, alla cattura delle emissioni, tanto per fare qualche esempio”.
È questa la strada che Eni percorre ormai da tempo, con l’obiettivo di essere a emissioni zero per il 2050, e fondamentale per il raggiungimento del traguardo sarà la tecnologia: “Negli ultimi otto anni siamo diventati sempre di più una società tecnologica, che cerca di crearsi in casa le soluzioni di cui ha bisogno. Questo ci permette di avere da una parte soluzioni studiate su misura per le nostre esigenze e dall’altra dà una forte motivazione alle persone che in azienda fanno ricerche sulle tecnologie e poi le applicano ai nostri problemi concreti. In questo modo si riducono anche i tempi di accesso al mercato”.
La scelta di diventare una società tecnologica, come ha sottolineato l’AD Claudio Descalzi, è “in qualche modo obbligata perché ci permette di essere flessibili di fronte a un mondo che cambia rapidamente e di cambiare anche noi non solo in superficie, ma in profondità”. In quest’ottica “bisogna sempre avere un mix di tecnologie a disposizione su cui si lavora, guardando al breve, al medio e al lungo termine”. E in alcuni casi ci possono essere innovazioni “che fanno fare un sostanziale passo in avanti, come quella che abbiamo appena realizzato con il Mit di Boston sulla fusione a contenimento magnetico”: ci sono voluti “tanti anni di esperimenti in tutto il mondo” per arrivare a realizzare “attraverso la start up americana di cui siamo maggiori azionisti il primo test su di un magnete a superconduttori ad alta temperatura in grado di creare un campo magnetico che potrà confinare il processo di fusione”. Un processo “analogo a quello che avviene nelle stelle e a più di 100 milioni di gradi e quindi in grado di permettere la realizzazione di un bilancio positivo tra energia utilizzata e quella prodotta”. La road map prevede nel 2025 la realizzazione del primo prototipo di mini impianto e nel 2030 il primo impianto industriale di questa tecnologia in grado di immettere energia netta in rete: “Con questo approccio industriale i tempi potranno essere notevolmente ridotti rispetto ad un approccio convenzionale”, ha evidenziato in merito l’AD Claudio Descalzi.